Quanta Scienza dietro un film di fantascienza? – The Martian, Ridley Scott

Il leitmotiv è vincente, da circa 300 anni. Defoe raccontava di un (famoso) Robinson sopravvissuto al largo delle coste del Venezuela, Ridley Scott, illustre regista di Alien, Blade Runner e Prometheus (noti anche ai meno esperti del genere), ispirandosi al libro di Andy Weir, trasla il topos rimanendo fedele al meccanismo: il suo protagonista sopravvive su Marte. La Nasa ha annunciato di voler portare l’uomo sul Pianeta Rosso entro il 2030, quindi in questo senso non si tratta di fantasia, ma quanta scienza c’è dietro un film che, ad onor del vero, merita di essere visto? (tralasciando l’immenso spoiler che risiede nel titolo!)

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Inizio film: la tempesta di sabbia.

Le tempeste su Marte esistono e, anzi, talvolta hanno un’estensione tale da essere visibili anche dai nostri telescopi. Ogni tre anni marziani, in media, queste “normali tempeste” crescono, diventando “tempeste di polvere globali”. Il punto è che è difficile immaginare che il vento sollevato da queste tempeste possa danneggiare delle attrezzature o strattonare l’equipaggio di una missione, poichè vengono raggiunti, al massimo, i 100 km/h (sulla Terra gli uragani arrivano a 250 km/h). Inoltre, a causa della densita’ dell’atmosfera del Pianeta Rosso (circa 1/100 di quella terrestre) e a causa di una pressione atmosferica molto minore, più che venti devastanti, su Marte si avvertirebbero soltanto delle leggere brezze. Superando la questione della forza dei venti, i granelli di sabbia, debolmente elettrostatici, potrebbero rappresentare una vera grana, Attaccandosi alle attrezzature, potrebbero danneggiare ingranaggi e pannelli solari.

Le passeggiate di Matt Damon sul territorio marziano.

La gravita’ del Pianeta Rosso è 3.711 m s−2, quella terrestre è 9.807  m s−2. Tanto basta per comprendere che la ridotta gravità di Marte impedirebbe agli astronauti di camminare senza “saltellare”.

Il problema delle radiazione.

Parte della tecnologia mostrata nel film rappresenta una realtà a cui la Nasa sta già lavorando. L’unica tecnologia inventata da Weir, è la schermatura alle radiazioni del modulo abitativo (dalla Nasa non ci sono segni di successo nella sfida contro le radiazioni, almeno per il momento). Gli astronauti a bordo della ISS (Stazione Spaziale Internazionale) sono protetti ancora dalla magnetosfera terrestre, ma su Marte? Qui l’assenza di atmosfera e di campo magnetico esporrebbe gli astronauti a un rischio non indifferente. L’esposizione durante l’intera missione, dunque viaggio e permanenza, alla radiazione solare ed ai raggi cosmici potrebbe sia comportare danni al sistema nervoso, sia aumentare il rischio di cancro nei viaggiatori spaziali.

Un antico proverbio palermitano dice che “chi mangia patate non muore mai”.

Mirando alla sopravvivenza, per ovviare alla carenza di scorte alimentari, Watney concima il terreno con le sue feci ed inizia a coltivare patate. Per l’astrobiologo McCollom (University of Colorado di Boulder), questa è meno fantascienza di quello che si pensa. Il terreno marziano potrebbe essere utilizzato per far crescere delle piante, magari dopo aver rimosso sostanze dannose come i perclorati e il perossido di idrogeno.

A quanto pare, il “vicino della porta accanto” è più “vicino” di quanto pensiamo!

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