“Dal Big Bang all’eternità” di Roger Penrose

Compiuti gli ottanta anni, il grande cosmologo britannico continua a ragionare al margine del concepibile, edificando teorie definite “folli” da egli stesso, e tuttavia capaci di spiegare la genesi, il presente e il destino finale del nostro universo. Questo nuovo testo di Penrose non è di facile lettura, infatti nonostante l’uso limitato dei formalismi, per lo più confinato in due appendici finali, l’esposizione di Penrose è talmente densa di riferimenti ad aspetti tecnici della cosmologia contemporanea da richiedere una lettura assai attenta. Naturalmente, seguire il suo rigoroso ragionare scientifico per ritrovarsi poi sospesi, in bilico tra un universo che muore in un gran botto e uno successivo che da quel big bang si genera, vale la fatica della lettura.
La cosmologia ciclica conforme immagina infatti un ripetersi potenzialmente infinito di universi che nascono e muoiono in una successione che ricorda la simmetria delle opere di Escher. Penrose, come prima di lui altri cosmologi, non si accontenta di sapere che tutto ha avuto inizio con il big bang. Negli stadi iniziali (e terminali) della vita del cosmo ci troviamo ai confini della fisica conosciuta, e le regolarità delle leggi di natura sono sotto stress. Allora Penrose guarda a quei luoghi dell’universo dove questo già avviene, i buchi neri, che diventano i motori del rinnovamento. In un futuro assai lontano, tutto ciò che esiste oggi sarà divorato dai buchi neri, che a loro volta perderanno energia dissipandosi in particelle prive di massa e gettando i semi per la nascita di un nuovo universo. Il modello di Penrose, dunque, consentirebbe di salvaguardare la coerenza delle leggi fisiche come oggi le conosciamo, per esempio la crescita dell’entropia col passare del tempo. E anche l’estetica: l’universo che nasce e quello che muore condividerebbero la stessa geometria. Un ultimo omaggio a Escher.